Di Anna Bontempo
VASTO – «Le barriere anti-erosione portano solo danni, non risolvono il problema, ma lo spostano a sud». Giovanni Damiani, biologo, già direttore tecnico dell’Arta, ex componente della Commissione Via (Valutazione impatto ambientale) del Ministero e attualmente docente all’Università della Tuscia-Viterbo, interviene nel dibattito che si è acceso su Vignola, località costiera dove è prevista la messa in opera di barriere soffolte. Il progetto, pari a 3,5 milioni di euro, viene contestato dal Comitato di surfisti, Litorale vivo, che chiede soluzioni meno impattanti che tutelino «la famosa onda». E che non hanno esitato a presentare un ricorso al Tar di Pescara, dopo aver tentato un dialogo con l’amministrazione comunale.
Se ne è parlato di nuovo nel corso di un recente servizio di “Mi manda Rai 3”, nel corso del quale il sindaco Francesco Menna, presente negli studi televisivi, ha definito i surfisti «simpatici scoiattoli di mare». In quella occasione è stato intervistato anche Damiani.
«Si potrebbe pensare, ad intuito, che le barriere di scogli parallele alla costa possano aumentare la diversificazione degli habitat marini e quindi la biodiversità», attacca il biologo, «ma l’esperienza consolidata mostra, invece, che portano solo danni alla biologia del mare, per una serie di motivi. La recinzione di uno specchio di mare impedisce il rimescolamento dell’acqua. Questa si riscalda eccessivamente e crolla il tenore dell’ossigeno disciolto indispensabile a tutta la vita acquatica superiore. Nelle notti calde poi, quando cessa la fotosintesi operata dalle alghe e vi sono solo fenomeni di respirazione, l’ossigeno disciolto si esaurisce completamente. Gli organismi dotati di scarsa mobilità (sessili) e quelli che vivono nelle sabbie, impossibilitati a fuggire muoiono per asfissia. Il riscaldamento e l’acqua ferma aumentano il metabolismo algale. Le alghe microscopiche quindi si riproducono moltissimo e tolgono trasparenza al mare. Il danno non è solo estetico, ma mette a rischio la sicurezza: se qualcuno stesse per annegare, non lo si potrebbe soccorrere per tempo se il corpo in acqua non si vede. Mi è successo di vivere un episodio del genere assieme ad altri soccorritori, ma seppure intervenuti immediatamente, non si vedeva niente e dovemmo tastare coi piedi l’intorno e alla fine si riuscì a localizzare due cadaveri di giovani.
C’è poi il rischio di incidenti», prosegue Damiani, «le barriere producono un fondale bassissimo al loro centro, mentre diviene profondo alle due estremità. Se non c’è trasparenza, un incauto che non sappia nuotare può incappare in una “buca” facendo pochi passi. Quando la massa notevole delle microalghe arriva a morire e va a depositarsi sul fondo, si crea un aggravio di caduta di concentrazione dell’ossigeno disciolto che può innescare fenomeni di putrefazione batterica (riduzione) abbastanza significativi da produrre cattivi odori per l’esalazione di gas come l’acido solfidrico e l’ammoniaca, entrambi molto tossici per la vita acquatica.
La zona interna alle barriere, inoltre, funge da trappola per i sedimenti fini e ultrafini che vi entrano con le onde. Questi intasano le branchie dei molluschi (e non solo) che muoiono anche per questo motivo asfissiati. Se provate a battere con la mano la parte interna immersa di uno scoglio vi accorgerete che si alza una nuvola di polvere finissima che vi era depositata… Entro le barriere tra ossigeno che manca e polvere che intasa la vita marina è oramai assente del tutto entro le sabbie (niente vongole, telline, cannolicchi, ricci di sabbia…) o ha presenze residuali, limitatissime di cozze assai piccole e solo in alto e alle estremità delle barriere ove riescono ancora a respirare per la corrente che dilava».
Oltre al problema della corrente che si crea tra due barriere vicine – pericolosa perché può portare una persona al di fuori di esse, in acque profonde – c’è anche l’eventuale inquinamento da enterobatteri fecali.
Damiani mette in guardia anche dalla «invasione di alghe tropicali potenzialmente tossiche, entrate in Mediterraneo e in Adriatico dal Mar Rosso attraverso Suez. Anche da noi», prosegue, «è presente, nel sud dell’Abruzzo, Ostreopsis ovata, un’alga microscopica che preferisce i substrati duri per ancorarsi….mentre fatica a farlo nelle sabbie instabili. Intonaca di una patina brunastra le scogliere verso Fossacesia e l’ARTA la tiene sotto controllo. Se nella riproduzione l’alga supera l’emissione di 50.000 cellule /per litro, scatta il divieto di avvicinarsi all’acqua perché fa ammalare le persone». Chi non ricorda i divieti di balneazione dovuti proprio alla presenza dell’alga?
Ma allora quali sono i rimedi per contrastare l’erosione marina?
«Un rimedio formidabile intanto potrebbe essere ripiantare la nostra Posidonia, la Cymodocea nodosa (che chiamavano “CISCHIA”) che elimina l’erosione, ossigena le acque ed è un incubatoio straordinario di esseri marini e luogo di riproduzione dei pesci», suggerisce il biologo, «con la Cymodocea il mare rinasce. Ma questo sarebbe troppo per l’imbecillitas che ci governa (saranno 20 anni che lo propongo), né lo vogliono i balneatori che vedono il mare come piscina “pulita” e non come ecosistema con la sua vita e meravigliosa complessità».